Il centro per la fertilità ProCrea ha presentato al congresso SSGO di Interlaken la propria esperienza con 4.000 casi analizzati. «Specifici test e analisi genetiche preimpianto permettono di non trasmettere la malattia ai figli. La prevenzione deve però partire dai ginecologie e medici di base»
«La prevenzione della fibrosi cistica inizia nel momento in cui una coppia decide di avere un figlio. È importante che i medici si facciano promotori di un’accurata informazione e che lo screening sia eseguito nei centri specializzati di PMA». Con oltre 4.000 pazienti testati negli ultimi 10 anni, il centro per la fertilità ProCrea di Lugano è intervenuto al congresso annuale della Società svizzera di ginecologia e ostetricia (SSGO) che si è svolto nei giorni scorsi al centro Kursaal di Interlaken. Marina Bellavia, ginecologa e specialista in Medicina della riproduzione del centro Procrea e Giuditta Filippini, direttrice del laboratorio di genetica molecolare ProcreaLab hanno tenuto un workshop su fibrosi cistica e infertilità.
«La fibrosi cistica è la malattia genetica recessiva più diffusa e, nonostante i notevoli passi avanti fatti nelle cure, resta una malattia fortemente invalidante che, ancora oggi, può portare al decesso. Per questo in ProCrea abbiamo deciso non solamente di accogliere le indicazioni europee che prevedono lo screening specifico solo per i trattamenti di fecondazione in vitro, ma, seguendo le linee guida americane, di ampliarle prevedendo le analisi per tutte le coppie che si rivolgono al nostro centro», riferisce Bellavia.
Statisticamente, almeno una persona ogni 20-25 è portatrice sana della fibrosi cistica (presenta quindi una mutazione del gene CFTR senza però avere alcun sintomo) e ogni anno in Italia nascono quasi 200 bambini – 4 ogni settimana – con una forma di questa malattia. In media in Europa, ogni 2.500-3mila neonati sani, uno è malato. «I portatori sani del gene mutato della fibrosi cistica sono abbastanza diffusi: grazie alle statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è possibile stimare che una coppia su 600 circa sia composta da due portatori sani. Nel caso di una gravidanza, questa coppia ha il 25 per cento di probabilità di avere un figlio malato, il 50 per cento di avere un figlio portatore sano e solamente il 25 per cento di avere un figlio effettivamente sano», ricorda Filippini. «Nella larghissima maggioranza dei casi, chi è portatore non sa di esserlo perché non ha dei disturbi evidenti; solo la conoscenza di casi di fibrosi cistica in famiglia spinge a fare delle verifiche in questa direzione. Anche se, come testimoniato da un caso che abbiamo presentato al congresso, ci sono situazioni dove è presente una delle mutazioni del gene che danno origine alla malattia, pur non avendo alcun caso di malattia in famiglia».
Il legame della fibrosi cistica con la fertilità è forte, soprattutto per quanto riguarda l’infertilità maschile. «Nell’80 per cento dei casi di oligospermia o azoospermia dovuta ad agenesia dei vasi deferenti, siamo davanti ad una forma atipica di fibrosi cistica; sono casi in cui si ha un’aplasia dei vasi deferenti e quindi viene ostacolato il passaggio degli spermatozoi», spiega Bellavia. «Con un test di secondo livello è possibile escludere al 98 per cento la presenza di una delle mutazioni del gene CFTR». Ma solamente con l’analisi genetica preimpianto è possibile evitare che la malattia sia trasmessa dai genitori ai figli. «La PGD – pre-implantation genetic diagnosis – permette di individuare l’embrione che non presenta la mutazione genetica; quindi di avere un figlio sano. È questo l’unico strumento di prevenzione che permette di ridurre la diffusione della malattia», concludono le specialiste del centro ProCrea.